Ho riletto in questi giorni, per raccontarlo alla più piccola delle mie due figlie, Peter Pan e ho scoperto che in realtà il titolo originario è Peter e Wendy. Ma non è solo di questo che mi sono resa conto: è, forse fra tutti, il libro che più si avvicina a rivelare la cosa che sempre ci si ostina a rimuovere quando si pensa all’infanzia: la sua crudeltà. È un libro cupo, una storia d’amore, e ha, delle storie d’amore, tutto quello che fa più soffrire. Il senso della fine, dell’impossibile, delle distanze che non si possono colmare.
Ma è anche e soprattutto un libro di avventure per bambini. Ci sono gli indiani e Giglio Tigrato, le fate e Capitan Uncino, i pirati, e i bambini perduti, tutti maschi, perché le bambine, dice il libro “sono più sagge e non si perdono”, e l’unica bambina sull’Isola è Wendy, dieci anni, che è già, per gioco, la mamma che i bambini, uno a uno, hanno perso, e insieme tutte le mamme che, uno a uno, hanno perso loro.
E c’è Peter, un bambino spensierato e immaturo che si rifiuta di crescere e vive un’eterna infanzia sull’Isola che non c’è. E a prendersi cura di lui e dei bimbi sperduti, Wendy, che cerca in tutti i modi di insegnare loro le buone maniere. E nonostante la giovane età, si comporta da adulta e si prodiga nell’aiutare gli altri, perché questo la rende felice. Wendy la mammina, la crocerossina.
Quella di Peter e Wendy non è una metafora casuale. I due personaggi di James Barrie sono quelli che nel 1983 hanno ispirato lo psicologo Dan Kiley a teorizzare la sindrome di Peter Pan e un anno dopo la sindrome di Wendy, nota anche come sindrome della crocerossina.
QUALE SIGNIFICATO HANNO?
La sindrome di Peter Pan è la condizione di quegli adulti che rifiutano di accettare le regole e le responsabilità che età e ruolo sociale impongono, rifugiandosi in comportamenti e mentalità dell’adolescenza.
La crocerossina, proprio come Wendy, tende invece ad aiutare tutti coloro che si trovano in difficoltà, con estrema dedizione, anche a scapito di se stessa. E senza sconfinare nel campo psicologico, chi è molto protettivo è sempre pronto a soddisfare, compiacere e giustificare l’altro (genitori, figli, amici, colleghi), anche se questo comporta il sacrificio di se stessi e dei propri bisogni.
SIAMO UN PO’ TUTTE CROCEROSSINE
Ne incontriamo tutti i giorni di persone che vivono nell’ossessione di soccorrere gli altri e molte di noi, di tanto in tanto, fanno lo stesso errore. Per sentirci utili e vitali mettiamo un po’ troppo da parte noi stesse per gli altri.
Accontentare questo lato di noi significa fare i salti mortali per far star bene gli altri, come se noi da sole sorreggessimo il peso dell’intera umanità. Perché sia una sindrome per lo più femminile è presto spiegato: il retaggio culturale, che ha da sempre visto la donna occuparsi di altri, in quanto madre.
Donna fai i figli, donna li curi, donna pulisci casa, fai da mangiare, donna sii gentile, amorevole e sacrificati. Tempi addietro, per fortuna passati, se in quanto donna avevi dei desideri ed aspirazioni, molti ti guardavano con disappunto e disapprovazione…
E ancora: donna uguale madre, madre uguale sacrificio. Prima c’è la gravidanza, poi il parto (uh che divertente) poi l’allattamento, poi le notti in bianco e via così. Ci si aspetta che la donna, in quanto mamma ami sacrificarsi ed immolarsi alla causa, magari con un raggiante sorriso stampato in viso. Come se una nella vita ambisse solo a quello.
Bisogna fare molta attenzione a questo lato di noi, perché appare nei momenti più impensabili, a tradimento, quando eri convinta di averla debellata per sempre, e ti porta a fare cose che non vuoi e a farle male.
Credo sia un grande valore sapersi mettere da parte per amore di qualcun altro, ma annullarsi, dimenticarsi di sé è un grande errore, che non può che portare conseguenze negative. Ci vuole misura, come ogni cosa, e soprattutto consapevolezza.
ATTENZIONE ALLE FALSE CREDENZE!
Come emerso prima, le circostanze e la Storia possono farci sentire inadeguate e imporci comportamenti che non sentiamo necessari. Eppure un sano egoismo è alla base di buone relazioni con gli altri e noi stessi. Non è mia intenzione sconfinare nel campo delle scienze psicologiche quanto piuttosto aiutare alla consapevolezza chi falsamente si sente in colpa per non fare abbastanza, per non essere abbastanza.
Pertanto consiglio di avere ben chiaro che sono false credenze le frasi che ogni tanto ci ripetiamo con non ecologica frequenza:
- In amore è necessario sacrificio. Quante volte ce lo siamo sentite ripetere? Quante volte ci è stato detto che soffrire per amore è normale e che insoddisfazione e infelicità sono il giusto prezzo da pagare per un supposto amore profondo. Oltre ad sempre preferibile alla solitudine. Non è così.
- L’altro ha bisogno di me. Quante volte di fronte a relazioni complicate e insoddisfacenti ci siamo nascoste dietro questa credenza? Autoconvincersi della propria importanza per sopportare situazioni che non ci fanno bene, non è un comportamento sostenibile nel tempo.
QUALI SANE ABITUDINI METTERE IN ATTO
- Non smettere di prenderti cura dei tuoi cari, del partner, dei figli e delle persone che ami
Le persone che amiamo fanno parte della nostra vita, ci arricchiscono ed ogni relazione per essere produttiva di felicità deve fondarsi sull’interdipendenza. Io mi prendo cura di te e tu fai lo stesso con me, in uno scambio reciproco di attenzioni. Una relazione è sempre basata su un equilibrio affettivo, fondato sulla soddisfazione dei tuoi desideri e bisogni, in misura uguale a quella del partner.
Quindi è importante che ricordi di :
- coltivare i tuoi interessi e le tue passioni
- creare spazi e momenti solo per te
- soddisfare i tuoi desideri e le tue ambizioni
L’errore che molti commettono è quello di voler rendere gli altri felici senza essere prima di tutto loro stessi persone felici.
Come si può regalare felicità se non la possiedi prima tu?
Trasmettiamo agli altri quello che possediamo e quello che siamo realmente. Portiamo in ogni aspetto della nostra vita quello che sentiamo dentro e i nostri valori più profondi.
Come puoi amare qualcuno se non ami prima te stessa? Come puoi rendere felice qualcuno se tu non sei felice?
La psicologa Robin Norwood ha scritto: “Nessuno può amarci abbastanza da renderci felici se non amiamo davvero noi stesse, perchè quando nel nostro vuoto andiamo cercando l’amore, possiamo trovare solo altro vuoto.”