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IL DONO MIGLIORE CHE UN GENITORE PUO’ FARE AL FIGLIO? PERMETTERGLI DI SBAGLIARE

Mentre osservi tuo figlio fare un puzzle, quando prova a mettere le tessere nel posto sbagliato, cosa pensi? Che sta sbagliando o che sta imparando?

Siamo stati educati a considerare l’errore alla stessa stregua del fallimento. Un’interrogazione sbagliata, una gara persa, una bocciatura vengono bollati come una tragedia o al contrario come una banalità. Eppure il modo più efficace per imparare è fallire, fare errori, sbagliare.

Imparare sin da piccoli a saper perdere, ad accettare le sconfitte è un ottimo sistema educativo che avrà ricadute positive sul domani, sul suo diventare adulto.

In molti casi, si tende a trasmettere ai figli, anche in modo inconsapevole, che si è importanti solo se si vince, concentrandosi su risultato e profitti, mentre per loro è fondamentale sentire di essere amati per quello che sono, con i loro limiti e le loro difficoltà, anche se non sono bravi in tutto e se non arrivano sempre al primo posto, a scuola, nello sport o in ogni altra attività.

Saper perdere si impara da piccoli e lo si apprende soprattutto attraverso il comportamento dei genitori e da come affrontano le sconfitte. Oggi la nostra società non accetta i perdenti. L’insuccesso non è messo in conto, la sconfitta va negata, cercando colpevoli a cui affibbiare la responsabilità. Invece, quando si ha un insuccesso è importante, come un boccone amaro, digerirlo bene, solo così si può crescere e star bene: perché l’insuccesso non è un evento totalmente negativo, anzi racchiude in sé grandi occasioni di crescita e maturazione.

Molto più della vittoria e del successo è superare una sconfitta e un momento di crisi che rafforza l’autostima.

NO ALLA SINDROME DA PRIMI DELLA CLASSE

Sotto pressione, la maggior parte dei bambini obbedisce e raggiunge i risultati che si aspettano i genitori, ma in questo modo si ottiene solo di limitare il loro pensiero indipendente e le competenze che li possono portare al successo vero e proprio. Se non diamo loro spazio e libertà di trovare la propria strada e li carichiamo di aspettative, i bambini non potranno prendere le loro proprie decisioni, sperimentare e sviluppare la loro identità.

Pretendere che i bambini siano sempre i migliori, i primi della classe, racchiude dei rischi:

Genera una pressione inutile che li priva della loro infanzia. L’infanzia è un periodo di apprendimento, ma anche di gioia e divertimento. I bambini dovrebbero imparare divertendosi, facendo errori, perdendo tempo e lasciando volare l’immaginazione. Aspettarsi che i bambini siano i migliori in un particolare campo carica sulle loro spalle una inutile responsabilità.

Provoca la perdita di motivazione intrinseca e piacere. Quando i genitori si concentrano più sui risultati che sullo sforzo, il bambino perde la motivazione intrinseca, perché capirà che conta di più il risultato che il cammino intrapreso. Pertanto, aumentano le probabilità che commetta frodi a scuola, per esempio, perché per lui non è così importante imparare quanto i voti. Allo stesso modo, concentrandosi sui risultati, perde interesse per il cammino della vita e smette di goderselo.

Pianta il seme della paura di fallire. La paura del fallimento è una delle sensazioni più limitanti che possiamo sperimentare. Questo sentimento è intimamente legato alla concezione che abbiamo del successo. Di conseguenza, è probabile che questi bambini non diventino adulti indipendenti e intraprendenti, come vorrebbero i loro genitori, ma persone che vanno sempre sul sicuro e accettano la mediocrità perché hanno paura di fallire.

Genera una perdita di autostima. Molte persone di successo, professionalmente parlando, non sono sicure di sé. Infatti, molte top model, per esempio, hanno confessato che pensano di essere brutte o grasse, quando in realtà sono delle icone di bellezza. Questo perché il livello di perfezionismo al quale sono sempre state sottoposte le porta a credere che tutto ciò che faranno non sarà mai abbastanza e che basta il minimo errore perchè gli altri le disprezzino. I bambini che crescono con questa idea diventano adulti insicuri con una bassa autostima e credono di non essere abbastanza meritevoli d’amore. Di conseguenza, vivono dipendendo dalle opinioni degli altri.

10 CONSIGLI PER AIUTARE I FIGLI AD AFFRONTARE L’INSUCCESSO

  1. Abolite dal vocabolario la parola fallimento

L’unico contesto corretto in cui si può utilizzare questa parola è quello giuridico, quando ci si riferisce a un’impresa che si trova in condizioni di insolvibilità. Il fallimento decreta una situazione irrecuperabile, da concludere definitivamente… Ma nella vita quotidiana un concetto del genere si applica in pochissime e gravissime situazioni… Certo non si può usare davanti a un brutto voto o una brutta pagella. Non sono questi i fallimenti.

2. Lasciate ai bambini il tempo di digerire l’insuccesso

Come ci si deve comportare davanti a un figlio che torna a casa triste perché la verifica a scuola è andata male? Due sono le cose da non fare: a) minimizzare il brutto voto, dire che non è successo niente, che non importa. Questo atteggiamento, soprattutto se il figlio ci è rimasto male, rischia di ottenere l’effetto contrario; b) arrabbiarsi e mortificare. L’atteggiamento giusto del genitore deve essere quello accogliente, che legittima anche verbalmente quello che è successo.

3. Siate comprensivi

Dopo l’accoglienza silenziosa un genitore deve aiutare a verbalizzare l’insuccesso, far venire fuori quello che sta dentro per renderlo meno nocivo. La verbalizzazione si deve muovere nei termini della comprensione. Altrimenti si può ottenere un effetto di chiusura.

4. Analizzate cosa è andato storto

Uno dei modi migliori di affrontare l’insuccesso è osservarlo e considerarlo come una preziosa fonte di suggerimenti su cosa correggere. Ad esempio potete insieme ai vostri figli cercare di capire cosa non ha funzionato nell’interrogazione; forse è da rivedere il metodo di studio.

5. Costruire un metodo di studio adeguato al proprio figlio

Il genitore deve dedicare del tempo per capire qual è lo stile di apprendimento di un figlio: ha difficoltà a memorizzare? Gli è utile ripetere ad alta voce, oppure va aiutato a fare degli schemi? E’ maggiormente orientato alla creatività o è più razionale? Con calma e pazienza, bisogna vedere come il ragazzo studia e aiutarlo a trovare il metodo di studio a lui più congeniale. Se il metodo viene acquisito e funziona, il successo è garantito e l’autostima sale.

6. Insegnategli la tenacia

Per dare sostegno a un figlio bisogna essere di modello, dare il giusto esempio.
Noi tutti abbiamo imparato molto di più da quanto i genitori hanno fatto nella vita e nella relazione con noi che non dalle loro parole: i bambini guardano il giudice non la legge. Una madre che inizia la dieta e poi la interrompe dopo pochi giorni, non insegna in modo efficace la tenacia. Un figlio che vede un genitore rinviare impegni presi nemmeno.
Mentre può essere positivo sentire il proprio padre dire: “Oggi vorrei tanto non andare alla riunione in ufficio e rimanere a casa con voi. Ma è il mio lavoro e lo devo fare…

7. Affrontare un calo motivazionale

Può capitare che un ragazzo abbia un momento di calo motivazionale, magari quando è all’inizio di un nuovo ciclo di studi, oppure se deve imparare qualcosa di nuovo come uno strumento musicale, oppure quando una materia diventa più difficile…
A questo punto il genitore non deve assolutamente far leva sul senso di colpa del ragazzo, se ad esempio vostro figlio dice di voler abbandonare lo studio di uno strumento musicale, è inutile colpevolizzarlo con frasi: “Ti abbiamo comprato il viollino come volevi, abbiamo speso soldi e ora non vuoi più andare a lezione…” Meglio sostenere la crisi. Un metodo che funziona in questi casi è aiutarlo a  visualizzare il punto esatto del percorso in cui si trova, focalizzare le mete che finora ha raggiunto aiuta a mettere in luce gli aspetti negativi del mollare e quelli positivi dello stringere i denti.

8. Lavorate insieme a lui per superare il momento di crisi

A questo punto il genitore può sostenere il figlio nel momento difficile mettendosi insieme a lui a fare quello che non riesce. Il fare cose insieme non ha come risvolto solo il fatto di fare un pezzo di strada insieme, positivo in ogni caso perché quando si cammina in due la strada diventa sempre più breve, ma fornisce anche occasioni per ideare stratagemmi, trucchi, attivare idee e strategie per superare un momento difficile con creatività. E ricordate che ogni volta che si supera un momento difficile si guadagna in autostima.

9. Revisione dell’obiettivo

Revisione non vuol dire autoconvincersi che non è importante raggiungere uno scopo Ma, ad esempio, se un ragazzo vive come un insuccesso un sei, ci si deve chiedere perché è tanto importante per lui avere una media elevata. Deve compiacere le aspettative di qualcuno? Vuole far bella figura con i compagni? La sua autostima è legata indissolubilmente al successo, per cui non può sottrarsi dal raggiungere quanto si prefigge? La risposta a queste domande potrebbe fornire indicazioni per un eventuale e possibile cambiamento di obiettivo, non certo una rinuncia frettolosa. Ma potrebbe capire che non è poi così importante avere la media del nove in tutte le materie. Non vale la pena abbattersi. L’obiettivo in quella materia può spostarsi dal nove al sette.

10. Insegnategli l’autonomia nel gestire le proprie cose

Un tempo era normale trasferire ai figli competenze pratiche: cucinare, rifarsi i letti… Oggi i figli crescono senza nulla toccare. Invece è importante abituarli a gestire le proprie cose in autonomia. A partire dal materiale scolastico che va preparato alla sera come un rituale cadenzato. I genitori devono “consentire l’errore” e facilitarne l’elaborazione. Spesso gli adulti intervengono in continuazione per evitare le conseguenze negative. Non continuate a ricordare a vostro figlio di rinnovare l’abbonamento dei mezzi pubblici, consentitegli di toccare con mano le conseguenze della dimenticanza, obbligandolo a dover rimediare.

GLI ADULTI DI OGGI E DI DOMANI

“Il fallimento è uno zoppicamento salutare dell’efficienza della prestazione. E, in questo senso, la giovinezza è il tempo dove il fallimento dovrebbe essere consentito. È quel tempo che esige il tempo del fallimento, dell’errore, dell’erranza, della perdita, della sconfitta, del ripensamento, del dubbio, dell’indecisione, delle decisioni sbagliate, degli entusiasmi che si dissolvono e si convertono in delusioni… del tradimento e dell’innamoramento”, spiega lo psicanalista Recalcati

Perdersi è dunque necessario.

I giovani vanno esposti al fallimento perché la via autentica della formazione è la via del fallimento. Lo insegnava Hegel e lo insegnano i testi biblici. È il fratello più giovane che chiede al padre la sua parte di eredità in anticipo per dissiparla nel godimento più ottuso.

La formazione è erranza, discontinuità, incontro, rottura del rapporto famigliare.

C’è sempre nel cammino di una vita una caduta da cavallo, un incontro con la terra, un faccia a faccia con lo spigolo duro del reale.

Chi non si è mai perduto non sa cosa sia ritrovarsi…

I giovani sanno perdersi come nessun altro… Sanno perdersi e ritrovarsi… Ma è fondamentale la presenza degli adulti perché questo avvenga. Sono necessari una casa, un legame, un’appartenenza perché l’erranza dia i suoi frutti. È necessario che i genitori sappiano tollerare le angosce di questo andirivieni.

Non dimentichiamolo mai… noi adulti. Anche se da giovani non ci è stato consentito fallire. O forse, proprio per questo.