“Sarà in grado di battere il rigore?”, mi chiede l’allenatore, mentre la giocatrice si avvicina al dischetto degli 11 metri.
Non è mai stata la tiratrice perfetta, non ha mai avuto la rincorsa più efficace, ma non ha mai avuto paura di calciare e ha sempre messo la testa in campo, penso mentre guardo la piccola atleta sistemarsi il pallone. Basta un punto per vincere il torneo, basta un errore per perderlo.
“Sì”. E’ tutto ciò che rispondo.
Dagli spalti i genitori incitano la piccola, i compagni di squadra battono le mani in una sorta di danza propiziatoria. L’unico a sembrare contro tempo è il mister, spesso incapace di credere nella follia creativa delle sue giocatrici. Mi ricorda quei manager che talvolta incontro in azienda che tendono a perseguitare gli errori dei loro collaboratori, anziché incitarli a fare meglio, a elogiarne le attitudini. Più attenti a mitigare i danni che ideare strategie vincenti. Sport e lavoro hanno grandi affinità: occorre mettere insieme le competenze di ogni player per arrivare al risultato comune. Sacrificio e allenamento sono momenti chiave: la gavetta è l’anticamera dell’esperienza, ma spesso questo passo non è vissuto con consapevolezza.
Alcuni genitori mi hanno chiesto di fare da mental coach a queste ragazzine. Padri e madri lungimiranti, considerato che la squadra non fa fatica a portarsi a casa trofei. Talvolta però è difficile fare il proprio lavoro. Proprio perché la leadership non è una abilità che si improvvisa.
A bordo campo, mentre gestisco le ansie del mister e l’entusiasmo delle giocatrici, cerco punti di forza e di debolezza e in una sorta di computo mentale annoto 5 metafore che mi saranno utili da lì a poco nello spogliatoio.
5 METAFORE PER FARE MEGLIO SUL CAMPO, IN AZIENDA E IN FAMIGLIA
1. L’allenatore non fa: convince a fare. Non c’è nulla di peggio della frase: “Faccio prima io a farlo, che a spiegarlo”. Questa frase uccide la leadership, perché scopo del leader non è fare le cose in prima persona, bensì stimolare gli altri a farle. Per lo stesso motivo non è possibile misurare i risultati ottenuti dai collaboratori sui propri: un leader può essere un lavoratore geniale, e gli altri potrebbero non riuscire a eguagliarne i risultati. E’ importante “uscire dal campo e sedersi in panchina” per guidare bene il team.
2. Cerca il problema, non il colpevole. Di fronte a un problema ciò che fa un buon leader è cercare di risolverlo. Non ha alcun senso cercare un “capro espiatorio” o comunque colui che ha commesso l’errore; una volta commesso, va discusso e risolto. Non sempre infatti sono i collaboratori a sbagliare….
3. Una squadra si costruisce stabilendo i ruoli. Dividere i ruoli all’interno del gruppo è il primo passo verso la formazione di una vera squadra. Il rispetto dei ruoli in un team è importante soprattutto quando le cose vanno male. Se un difensore si mette a fare l’attaccante, non sta facendo bene: rischia di distruggere la squadra. Rischiare il tutto per tutto si può, ma deve essere una decisione collegiale e strategica.
4. L’errore è parte integrante del processo. Bisogna imparare dai bambini che provano a camminare, cadono e si rialzano. Mentre imparano sono festeggiati da chi sta loro intorno. Il bambino sa che può tentare tranquillamente, perché l’ambiente intorno è positivo e accogliente. Bisogna dunque creare anche nel team la percezione del fatto che l’errore sia parte integrante e necessario del processo di apprendimento.
5. Chiediamo di più “perché”. Spesso tra i collaboratori possono nascere conflitti e non sappiamo perché. Se un membro del team non vuole o non riesce a fare qualcosa, o è demotivato, bisogna per prima cosa chiedergli perché, quale sia il suo problema.
La partita è conclusa, le ragazze con la coppa in mano, esultano. Ma il lavoro, e questo ancora non lo sanno, è appena iniziato. C’è tutta la prossima stagione da preparare!